VA MANTENUTO IL FIGLIO CHE PERCEPISCE L’INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE?

L’obbligo di mantenimento in capo al genitore, separato o divorziato, non torna a rivivere se il figlio maggiorenne perde il lavoro e quindi: no! Non va mantenuto il figlio che percepisce l’indennità di disoccupazione.

Di questo si è recentemente occupata la Suprema Corte di Cassazione, affrontando il caso di un padre divorziato che impugnava il provvedimento che lo obbligava a corrispondere il mantenimento alla figlia maggiorenne (non economicamente indipendente).

La figlia in questione ha lavorato con un contratto a tempo determinato e ha percepito una retribuzione di 670,00€ mensili; quando è cessato il rapporto di lavoro per naturale scadenza del termine, ha cominciato a percepire l’indennità di disoccupazione (NASpl, Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’impiego).

Per chiarezza: si tratta di un sostegno economico da parte dello Stato rivolto ai lavoratori che, loro malgrado, si trovano in una condizione di disoccupazione.

Il genitore in questione divorziava dalla moglie e il Tribunale lo aveva condannato a versare direttamente ai due figli maggiorenni (ma non economicamente autosufficienti) l’importo mensile di 670,00€ ciascuno e 250,00€ a favore dell’ex moglie.

Egli impugnava la decisione e la Corte d’Appello, riformando parzialmente la sentenza di prime cure, revocava il mantenimento a favore del figlio, ma lo confermava, invece, a favore della figlia in quanto la stessa non aveva ancora raggiunto l’autosufficienza reddituale (fruiva dell’indennità di disoccupazione dal 2019).

Nel nostro ordinamento, l’obbligo di mantenimento è circoscritto al principio di autoresponsabilità”, ovvero: anche i figli hanno dei doveri nei confronti dei genitori, soprattutto se si tratta di “figli adulti”.

Il genitore è tenuto a mantenere il figlio maggiorenne ma solo finché non trova un lavoro e la ricerca di un’occupazione deve avvenire contemperando l’aspirazione astratta del ragazzo con il concreto mercato del lavoro.

Non è quindi giustificabile che un figlio, ormai adulto, rimanga disoccupato nell’attesa “del lavoro dei propri sogni” (Corte di Cassazione, sez. 1, ordinanza 26875/2023): il figlio deve attivarsi in modo proattivo per trovare un lavoro.

La giurisprudenza poi ha ritenuto che lo svolgimento di un’attività retribuita, (anche se si tratta di un contratto a tempo determinato), possa rappresentare un elemento indicatore della capacità del figlio di procurarsi una fonte di reddito. Pertanto, se termina il rapporto di lavoro, non rivive l’obbligo di mantenimento.

In virtù di questo, il ricorso del padre di cui stiamo discutendo, è stato accolto con riguardo al mantenimento per la figlia maggiorenne.

La decisione impugnata viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione che deciderà anche in ordine alle spese di legittimità.

A chi spetta provare che sussistano le condizioni per ottenere il mantenimento?
L’onere della prova è a carico del richiedente, che deve dimostrare di  aver curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegue nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendono giustificato il mancato conseguimento di un’autonoma collocazione lavorativa. (Corte di Cassazione, sez. I, ordinanza 16 settembre 2024 n. 24731.)