Assegno divorzile: ne ha diritto la moglie che sceglie di non lavorare per dedicarsi alla famiglia e per supportare il marito nel suo sviluppo di carriera
Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella recentissima Ordinanza 34711 pubblicata il 12 dicembre 2023 dalla Prima Sezione, con cui veniva rigettato il ricorso del marito manager che chiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento per la moglie.
La storia di questa famiglia ha inizio a Genova, dove il Tribunale pronunciava nel 2017 la cessazione degli effetti civili del matrimonio con l’obbligo in capo al marito di versare l’assegno mensile nella misura di 18.000€ per il mantenimento della moglie e per quello della figlia, maggiorenne ma non economicamente indipendente, in ragione di 9.000€ ciascuna oltre al 100% delle spese straordinarie per la figlia.
La coppia in questione (che godeva di un tenore di vita molto elevato) era stata sposata per vent’anni e il matrimonio era finito per causa del marito, al quale era stata addebitata la separazione; la moglie, in costanza di matrimonio, si era sempre dedicata interamente alla famiglia, occupandosi di crescere la figlia e seguendo il marito nei frequenti spostamenti di lavoro.
Grazie a ciò, il marito si era sempre potuto dedicare alla carriera e aveva potuto incrementare considerevolmente i propri redditi.
Non soddisfatto della sentenza del Tribunale, l’uomo ricorreva in Appello chiedendo che l’assegno venisse ridotto a 4.000€ mensili ma i giudici di seconde cure gli danno torto!
Infatti, confermano la sentenza impugnata sulla base del fatto che la donna fosse priva di un’occupazione lavorativa e che, data l’età (50 anni), non sarebbe stata in grado di procurarsela facilmente; la donna inoltre non era in possesso di una specifica professionalità da spendere sul mercato del lavoro essendosi sempre occupata della famiglia.
La stessa inoltre era titolare di un unico immobile messo a reddito e onerata del pagamento del canone di locazione dell’appartamento (dove viveva con la propria figlia) nella misura di 2500 € mensili.
L’uomo quindi ricorreva in Cassazione, sostenendo che:
- Il suo ingente patrimonio immobiliare proveniva interamente dalla sua famiglia di origine;
- L’ex moglie aveva beneficiato di numerose donazioni in costanza di matrimonio;
- L’ex moglie aveva scelto di non lavorare per dedicarsi alla famiglia senza rinunciare ad occasioni lavorative.
Ecco che la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata evidenziando che la corte di merito non avesse valutato se il mancato svolgimento di un’attività lavorativa da parte della donna fosse frutto di una libera e consapevole scelta concordata con il coniuge e se allo stesso abbia fatto riscontro un impegno di portata non inferiore nell’ambito della gestione della famiglia del quale abbia beneficiato anche l’ex coniuge.
A questo punto il marito riassumeva il giudizio sostenendo che la moglie (in possesso del diploma di stilista) sarebbe stata in grado di trovare un’occupazione lavorativa adeguata, anche in virtù del fatto che, negli anni, avesse stretto relazioni di amicizia altolocate che l’avrebbero aiutata nella ricerca di un lavoro; inoltre, la stessa avrebbe potuto mettere a reddito gli immobili di cui era diventata proprietaria, nel tempo.
La Corte d’Appello accoglieva parzialmente il ricorso e rideterminava l’assegno in misura di 7.000€ mensili e in conseguenza il marito depositava ricorso in Cassazione, fondando il ricorso sulla base del fatto che l’enorme divario reddituale fra i due coniugi fosse preesistente al loro matrimonio e che la moglie non avesse contribuito alla formazione di tale patrimonio.
La stessa avrebbe deciso autonomamente di non svolgere attività lavorativa e di dedicarsi alla famiglia e alla casa.
Gli Ermellini danno ragione alla moglie sostenendo che bene ha fatto il giudice di merito nel determinare in capo al marito l’obbligo di corrispondere l’assegno alla moglie: lo squilibrio economico e finanziario fra marito e moglie era incommensurabile e la donna si era completamente dedicata alla famiglia.
La moglie inoltre non aveva più l’età per intraprendere da zero una carriera lavorativa e il suo indubbio contributo alla formazione del patrimonio familiare aveva permesso un accrescimento importante a favore di quest’ultimo.
La Corte di Cassazione quindi dichiarava inammissibile il ricorso del marito e lo condannava al pagamento in favore della contro ricorrente delle spese del giudizio.